Avi Loeb: "io astrofisico, a caccia di UFO per dare un senso all'umanità"

Abraham "Avi" Loeb si sente una via di mezzo tra Galileo Galilei e lo scienziato interpretato da Leonardo DiCaprio nel film del momento Don’t Look Up. «L’ho visto, mi è piaciuto e penso dica delle verità: per esempio che non sempre le persone capiscono quando si trovano di fronte alle questioni scientifiche veramente importanti». Una, secondo Loeb, si è presentata nel 2017 nel Sistema solare: «Abbiamo avuto la prova che ci sono, o ci sono state, altre civiltà in grado di esplorare l’Universo». Una prova che la comunità scientifica ha finora negato, ma di cui Avi Loeb è convintissimo. Lo era cinque anni fa, quando il giallo cosmico si materializzò, e lo è oggi che, per esporre al grande pubblico la sua teoria, ha dato alle stampe Non siamo soli (Mondadori).

“Avi” Loeb non è un cacciatore amatoriale di UFO ma uno scienziato dal curriculum scintillante: di origini israeliane, ha una cattedra di Scienze all’Università di Harvard ed è stato direttore del Dipartimento di Astronomia nello stesso ateneo. Difficile bollare la sua “ipotesi aliena” come una banale fake news. Tutto inizia, appunto, a metà ottobre del 2017: un osservatorio astronomico collocato alle Hawaii rivela il passaggio di un oggetto misterioso dalle parti della Terra (si fa per dire: 24 milioni di chilometri). Verrà denominato Oumuamua, dal nome del telescopio che l’ha avvistato. Prima di allontanarsi e sparire nel buio cosmico, rimane visibile agli astronomi per pochi giorni, quanto basta per alimentare il giallo: la traiettoria indica che è un oggetto estraneo al Sistema solare, il primo mai osservato nella storia dell’umanità. Ma non è l’unica anomalia. «Dallo studio di come rifletteva la luce solare abbiamo capito qualcosa sulla sua forma: un oggetto piatto, con una lunghezza pari a circa dieci volte l’altezza», spiega Loeb. «Inoltre, anziché essere attratto dalla forza gravitazionale del Sole, ha accelerato in direzione opposta».


Professor Loeb, molti suoi colleghi ritengono che si sia trattato di una cometa proveniente dall’esterno del Sistema solare. Perché no?

«Nessun asteroide o cometa osservati in passato hanno mai mostrato una forma simile. Si è ipotizzato che la spinta in direzione opposta al Sole potesse essere dovuta allo scioglimento ed espulsione del ghiaccio superficiale, ma le osservazioni non hanno rivelato alcuna coda cometaria. I miei colleghi ammettono che si tratta di un oggetto “mai visto prima” ma insistono sulla sua origine naturale. E però nessuna delle loro spiegazioni regge dal punto di vista scientifico».



E la sua spiegazione invece qual è?

«Potrebbe trattarsi di un manufatto. Una vela solare, costruita proprio per essere spinta dalla luce delle stelle. Oppure un’antenna parabolica per la trasmissione di segnali. O un frammento di una nave spaziale alla deriva».


Ora non c’è alcun modo di capire cos’è Oumuamua?

«Avremmo dovuto mandare una sonda a fotografarlo quando era dalle nostre parti. Farlo oggi è inutile: Oumuamua non è più visibile. Inoltre sappiamo che su di lui non agiscono solo forze gravitazionali, ma anche una spinta aggiuntiva. E questo rende la sua traiettoria imprevedibile. L’approccio migliore è un altro».


Quale?

«Cercare il prossimo oggetto simile a Oumuamua nelle nostre vicinanze e mandare immediatamente una sonda. Per questo ho ideato il Galileo Project, sostenuto da Harvard, a cui partecipano oltre 100 scienziati e che ha già raccolto due milioni di dollari di finanziamento».


Perché Galileo?

«Ci si deve affidare alla verità raccontata dai dati piuttosto che ai pregiudizi. E questo è proprio l’insegnamento di Galilei. Di fronte alla realtà delle cose, non c’è autorità o approvazione “social” che tenga: la Terra ha continuato a ruotare intorno al Sole anche se i filosofi dell’epoca erano convinti del contrario. Allo stesso modo, nel caso di Oumuamua dovremo usare il metodo scientifico e raccogliere dati, invece di dar retta a esperti che usano le loro conoscenze pregresse per dare risposte preconfezionate».


Si riferisce ai colleghi che l’hanno criticata?

«C’è anche molta gelosia all’interno del mondo accademico. Ho ricevuto attacchi personali da parte di chi si è sentito minacciato nel suo ruolo di esperto. La maggioranza dei miei colleghi è molto distante dalle domande fondamentali che si fanno le persone».



Gliela faccio io: esistono altre forme di vita intelligente nell’Universo?

«È la questione più importante per il futuro dell’umanità. E invece la si nega o la si ignora, sia nell’accademica che nel sistema politico. Il budget per la Difesa approvato dall’Amministrazione Biden poche settimane fa è di 768 miliardi di dollari. Progetti come il nostro per la ricerca di manufatti realizzati da altre civiltà andrebbero finanziati allo stesso livello o forse di più. Sono stati spesi miliardi di dollari per il Large Hadron Collider del Cern o il James Webb Telescope appena mandato nello spazio. Ma a chi è che interessa di cosa è fatta la materia oscura? E allora mi chiedo: come è possibile che capire se siamo soli nell’Universo non abbia ricevuto finanziamenti analoghi?».


Tutto questo ha a che fare con la fede in Dio?

«Una civiltà scientificamente avanzata è la cosa che si avvicina di più a Dio. Noi siamo vicini a sviluppare la vita sintetica. E quando unificheremo gravità e meccanica quantistica potremmo produrre un universo bambino in laboratorio. Immaginiamo una civiltà migliaia o milioni di anni più avanzata della nostra: ogni loro azione ci apparirebbe magica, frutto di qualcosa di divino. Li potremmo scambiare per Dio. Questo è il mio modo di tenere insieme scienza e religione».


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